Il tema della “laicità”, affrontato in questo libro dal Prof. Giuseppe Dalla Torre – attualmente Rettore della Lumsa di Roma e componente del Comitato Nazionale di Bioetica – è tra i più attuali e di più stringente interesse, specie adesso che sembra risolutamente imboccata la strada che dovrebbe portare a decidere il futuro assetto Costituzionale della “nuova” Europa. Il saggio – miscellanea di interventi tenuti in diverse occasioni, dall’ottobre 1999 al giugno 2002 – che può risultare a volte ripetitivo nella formulazione di alcuni concetti chiave, si articola sviluppando appunto il tema della “laicità”, con particolare riferimento a quali panni vestirà all’interno del futuro dettato costituzionale. Tale termine, infatti, può essere il coagulo di differenti visioni giuridiche più o meno ideologizzate, che nella misura in cui entreranno nella Carta Fondamentale, determineranno altresì anche il rapporto dello Stato-Europa con le “Chiese”. Pertanto il termine di paragone da cui partire per impostare correttamente il discorso, secondo Dalla Torre, è quello della “libertà religiosa”. Questo principio, difeso, seppur a diverso titolo, da tutte le Carte Costituzionali europee, è in profonda relazione con il concetto di “dignità umana”. Ma già per quanto concerne questo concetto, le vie percorse per definirne i contorni, sul terreno del diritto positivo, non sono sempre facili, benché il suo uso nei documenti normativi, nella giurisprudenza e nella letteratura giuridica sia sempre più ricorrente. Il dato che, a parere dell’Autore, accomuna la speculazione sia dei filosofi del diritto che i giuristi positivi è il carattere “pre-statale” della “dignità umana”, e quindi la sua precedenza ad ogni ordinamento giuridico. Per il professore della Lumsa, chiaramente debitore alla posizione giusnaturalistica, la pre-esistenza della dignità umana rispetto alla volontà del Legislatore ha il suo radicamento nella natura stessa dell’uomo. Da cui discende che anche la libertà religiosa sia in relazione ad un ordine valoriale che non è prodotto dal potere politico, né tantomeno dalla coscienza individuale. In questo senso, continua l’Autore, tanto la visione giuspositivistica-legalista che quella giuspositivistica-individualista pongono detta libertà in un fondamento precario, fragile, caratterizzato necessariamente dal senso dell’arbitrarietà, sia che venga posto nella volontà generale (la legge) sia che venga posto nella volontà individuale (l’autodeterminazione). Questo è ciò che connota, a dire dell’Autore, il termine “laicità”. Essa si determina proprio nel marcare gli ambiti di competenza dello Stato, ma anche di conseguenza, quelli di sua “incompetenza”. Fra questi vi è certamente l’etica, che tocca la coscienza dell’uomo. In altre parole, la libertà religiosa è difesa e tutelata, come ad esempio nel nostro ordinamento, non per la sua caratteristica individuale, tipica dei diritti della tradizione liberale, ma per la rilevanza “sociale” che tale diritto riveste, determinato a sua volta dal carattere onto-antropologico della dignità umana di ciascuna persona. Proprio la rilevanza sociale di tale diritto, pone nella medesima dignità umana il limite alla libertà religiosa. Ed è proprio qui che si esprime la “laicità dello Stato”, nella sua neutralità dinanzi alle diverse opzioni di coscienza, ma senza che questa possa divenire – in base ad una concezione giuspositivistica-individualista – mero arbitrio senza limiti. Non a caso la nostra Corte Costituzionale ha evidenziato che la laicità dello Stato si esprime come neutralità e non come indifferenza (cosa che avviene, invece, nella posizione “laica” dell’ordinamento francese). Così, se da una parte si postula il riconoscimento della libertà religiosa fondandolo nella dignità umana, dall’altra si limita lo stesso diritto in ragione della medesima dignità (il riferimento è inerente ai problemi relativi al riconoscimento dei Nuovi Movimenti religiosi, ma anche per quelle religioni tradizionali che utilizzano pratiche lesive della dignità umana). In pratica, la laicità dello Stato può vestire i diversi panni della concezione giuridica che le sta dietro, e a seconda dell’indirizzo che prende trova risposte che vanno da una indifferenza di tipo francese ad una neutralità di tipo italiano. L’una vede una contrapposizione tra Stato e Chiese, l’altro una distinzione di ambiti, tra Stato, società civile e Chiese, laddove Stato e Chiesa sono ciascuno sovrani nel proprio ordine. Se la laicità alla francese ha il suo fondamento nella sovranità dello Stato insofferente ai condizionamenti derivanti da altri poteri sociali, dall’altra si dà il riconoscimento alla società civile – nelle sue diverse articolazioni e quindi anche a quelle religiose – di un ruolo che le è proprio, e di fronte al quale lo Stato “laico” potrebbe opporre solo la sua neutralità. Nel primo caso abbiamo una visione dello Stato come societas perfecta, nel secondo come societas imperfecta che non ha competenza assoluta ma limitata a definiti ambiti. Questo secondo sistema, prettamente italiano ed unico nel suo genere, potrebbe essere proposto come modello per l’Europa, per la sua capacità di coniugare, in un terreno assai sensibile qual è quello religioso, unità e diversità facendo sì che, nella casa comune dello Stato, il diritto alla propria identità rivendicato da ogni comunità religiosa possa trovare riconoscimento e tutela. In pratica, consiglia il docente, il sistema vigente in Italia, è capace di riconoscere legittimità giuridica piena ma al tempo stesso di limitare gli “statuti personali” per via della tutela della “persona umana” e dei diritti ad essa collegati. Questi non sono altro, poi, che i diritti costituzionalmente garantiti. A favore di questa proposta, Dalla Torre vede l’enorme perdita di peso dello Stato, nella società contemporanea, da cui “il diritto personale, quale segmento normativo di un nomos generale caratterizzato dalla concorrenza paritaria e parcellizzata di più fonti del diritto, sembra tornare ad essere, dopo l’autoreferenzialità degli ordinamenti degli Stati sovrani, di una insospettata attualità”.
Per finire l’Autore si sofferma sulla funzione ed il ruolo che le Chiese potrebbero svolgere in Europa, nella loro azione di costruzione ed edificazione dell’unità nella diversità. In un precedente paragrafo, Dalla Torre aveva evidenziato la dimensione individuo-sociale come strettamente connessa al dimenticato tema del “dovere” a cui tutti sono chiamati, nell’azione di promozione del benessere materiale e spirituale della società. Proprio sul terreno dei doveri lo Stato potrebbe svolgere la delicata funzione di discrimine per quelle Religioni che intendono accreditarsi, in quanto la leale condivisione di una tavola di valori diventerebbe dovere inderogabile per tutti, sia persone che comunità religiose. Un’adesione interiore homine, che fugherebbe, tra l’altro, ogni dubbio circa altre e confliggenti fedeltà. Ma proprio perché il terreno del dovere non può essere coercizzato dalla “legge”, la funzione sociale delle Chiese assume qui tutta la sua rilevanza proprio per quell’azione educativa in virtù della quale può diventare “spontaneo” l’agire virtuoso e solidale. È il terreno dell’etica, campo proprio delle Chiese, che fa sì che queste non siano “agenzie umanitarie” ma vettori portatrici di un messaggio spirituale e religioso, e quindi morale. Accolte nella loro “inconfondibile originalità, esse potranno, davvero, contribuire ad una coesione sociale forte, idonea a far progredire l’Unione e a contrastare le tendenze fondamentaliste che, ab intra e ab extra, sul terreno religioso ma anche su quello ideologico, possono condurre al conflitto e far correre i rischi della disgregazione”.
Il saggio, così, sembra potersi inserire nel dibattito aperto circa l’introduzione del richiamo alle radici cristiane per l’Europa, con una visone prospettica sua propria che merita attenzione e riflessione. Anche se l’Autore mostra chiaramente i suoi favori alla prospettiva sostenuta dal Pontefice romano, Giovanni Paolo II, di fatto la sua disamina del concetto di dignità umana, libertà religiosa e laicità, possono costituire valido presupposto per indirizzare la Carta Europea verso terreni meno scivolosi e meno carichi di potenziali conflitti. L’idea degli “statuti personali”, che libera e al tempo stesso lega le diverse confessioni religiose alla tutela della dignità della persona, e quindi agli altri diritti discendenti da quello, potrebbe essere la chiave di volta capace di far uscire dall’impasse attuale. Certamente la proposta del docente meriterebbe dovuta attenzione.
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